Gli Orsi in Valgerola

GLI ULTIMI ORSI IN VAL GEROLA
Anche nella nostra Valtellina, nei secoli passati, lupi ed orsi erano di casa.
I primi scorazzavano in fondo valle, privo di strade ed acquitrinoso, i secondi sui monti, in modo particolare delle prealpi orobiche.
Arginata l'Adda, prosciugate le paludi, costruite strade, casolari e paesi, per i lupi non ci fu più scampo: vennero definitivamente distrutti nella prima metà del secolo scorso.
Di orsi, invece, rifugiati sulla montagna, sebbene agli stessi venisse data una caccia spietata, più per paura che per i danni che causavano (qualche pecora o qualche capra rubata ai pastori) ne esisteva ancora qualche esemplare fino all'anno 1891, quando Giovanni Bonomi, in Val d'Ambria, nel bosco Mottalone, sopra lo Scais, uccideva l'ultimo: un grosso maschio.
Una delle ultime località abitate da orsi è stata la Val Gerola dove, negli anni 1887 e 1888, gli ultimi orsi venivano uccisi.
La caccia a questi non tanto feroci bestioni (non attaccavano l'uomo, se non per difendersi) era diventata anche redditizia perché lo Stato, per ogni orso ucciso, concedeva un lauto premio: circa cento lire, che allora valevano qualcosa.
Da quanto ho trovato a proposito dell'uccisione degli ultimi orsi in Valgerola, da documenti rinvenuti e da informazioni orali avute da vecchi che ricordano, ho raccolto notizie interessanti che ho ritenuto pubblicare a completamento delle note del nostro passato che già sono state stampate nei numeri precedenti di questo bollettino.
Comincerò con la caccia ad un'orsa sull'alta Val Gerola fatta dal dott. Gualteroni Giovanni, padre del dottore che porta il medesimo nome e che ora risiede a Sondrio e che conserva il cranio della preda, con attaccata la pallottola che l'ha uccisa.
Era il dott. Giovanni Gualteroni un appassionato cacciatore, un abilissimo tiratore, vincitore di numerose gare di tiro a segno che allora erano tanto frequenti.
La caccia di questa orsa veniva minutamente descritta dallo stesso dottore in una relazione da lui inviata alla "Tribuna Sport", scritta in bello stile colorito e fantasioso, come si usava allora.
La trascrivo integralmente:
"Poco dopo l'albeggiare del giorno 4 luglio 1887 mi trovavo nell'Alpe Pescegallo delle Foppe comune di Gerola Alta, in cammino per raggiungere le vette rocciose della stessa in cerca di camosci; mi accompagnava l'amico Acquistapace Giov. Battista di Gerola, esperto e valente cacciatore; quando ad una svolta del sentiero vedemmo sulla nostra destra, ad un 400 metri più in alto, un'orsa accompagnata dal suo orsacchiotto che se ne stava tranquillamente brucando la profumata erbetta della montagna. Non saprei descrivere l'emozione che s'impadronì di noi a tale vista, prodotta dal desiderio e dalla smania subitanea d'impadronirci di sì superbi animali. Nostra prima cura fu di sottrarci alla vista degli avversari accovacciandoci di subito al rigido pendìo del monte per non metterli in allarme; quindi colla massima precauzione e senza far rumore salimmo si può dire a quattro gambe il pendìo stesso, ed arrivati ad una piccola piattaforma vi ci coricammo bocconi.
L'orsa aveva già abbandonato il praticello dove stava e non si vedeva più, pensammo allora fosse discesa in un burrone intermedio tra la località da noi occupata e quella dove stava e così fu difatti. Eravamo da poco così appostati che nella nostra sinistra dal ciglio del burrone suddetto, undo pendìo del monte per non metterli in allarme; quindi colla massima precauzione e senza far rumore salimmo si può dire a quattro gambe il pendìo stesso, ed arrivati ad una piccola piattaforma vi ci coricammo bocconi.
L'orsa aveva già abbandonato il praticello dove stava e non si vedeva più, pensammo allora fosse discesa in un burrone intermedio tra la località da noi occupata e quella dove stava e così fu difatti. Eravamo da poco così appostati che nella nostra sinistra dal ciglio del burrone suddetto, un trenta metri più sopra di noi, spuntò d'un tratto l'imponente animale accompagnato dal suo piccolo: si capiva che probabilmente coll'olfatto aveva sentito il nemico poiché continuamente volgeva la testa a destra e a sinistra esplorando il terreno; appena giunta l'orsa sopra di noi, ci alzammo con rapidità mirandola coi fucili; essa si drizzò sulle gambe posteriori, sparammo contemporaneamente e subito l'animale ruggendo con forza, furibondo sollevò con potenti zampate un nuvolo di ciottoli e terriccio. Tale spettacolo durò pochi secondi, tanto che quando ebbi ricaricato il "Vetterli", l'orsa e il suo piccino erano già spariti una seconda volta nel burrone, per poi ricomparire subito al di là dello stesso fuggendo a gran corsa su per un ripido "canale" che conduceva ad un passo o "bocchetta" valicante la cima.
Nel mentre il mio amico stava ricaricando la sua carabina ad avancarica, io continuai a far fuoco sull'orsa in fuga senza mai poterla colpire, tanto che tutte le pallottole inviatele le vedevo polverizzarsi sulla roccia. Arrivata la belva a circa metà del canale suddetto fece un brusco voltafaccia ritornando a precipizio sui suoi passi, da ciò arguimmo che fosse ferita gravemente.
Non potendo più arrampicarsi, riattraversò il burrone e si presentò una seconda volta a noi dinanzi a minore distanza di prima: si rizzò terribile, ruggendo e credo stava per lanciarsi su noi, quando io, coll'ultima pallottola che mi rimaneva, la colpii in pieno petto; la belva stramazzò immediatamente rotoloni lungo il pendio e mi passò vicino rantolando; si fermò un centinaio di metri al disotto sul piano di una valanga ed ivi raggiuntala ancora in vita e minacciosa, il mio compagno, che finalmente aveva caricata l'arma, la finì con una palla in un orecchio. L'orsacchiotto, poco più grosso di una volpe, quando vide la propria madre sparire al disotto di noi, si fermò un istante a guardarci e di più non potemmo fare neppure noi (io avevo finito le cartucce ed al mio compagno mancava di mettere la capsula sul focone) riprese quindi con gran lena la salita del canale già tentata dalla madre e si tolse alla nostra vista in pochi minuti valicando la cima. Sul corpo dell'orsa trovammo una ferita all'addome: la prima: ed una seconda al petto, il mio ultimo colpo; col cranio dell'orsa, conservo ancora la pallottola semischiacciata che fratturò una vertebra dorsale dell'animale e si fermò sotto la pelle corrispondente del dorso".
Un'altra orsa veniva uccisa, nel settembre dello stesso anno, dai fratelli Acquistapace Battista ed Antonio di Gerola Alta, detti "Gambes".
Ciò risulta dalla lettera inviata il 19 settembre 1887 dalla Prefettura di Sondrio al Delegato di P.S. di Morbegno così concepita:
"I fratelli Signori Acquistapace Battista ed Antonio fu Carlo, di Gerola Alta, hanno presentato un'orsa che, giusta analoga dichiarazione del sig. Sindaco del predetto Comune, fu da loro uccisa ieri nel bosco "Ruinasci" (fra Trona e Pescegallo), ma siccome lo hanno già venduto al macellaio Ciapponi di costì, lo riportano perciò a Morbegno. Non potendosi accordare il premio agli uccisori se non viene accertato che la belva è stata squartata, e non già portata in altra località allo scopo di conseguire un altro premio, prego la S.V. d'accertarsi dello squartamento dell'orso ucciso dai fratelli Acquistapace, redigendo poi apposito verbale, da trasmettersi a questa Prefettura. Nel verbale predetto deve essere indicato il sesso della belva, essendovi differenza nel premio dalla femmina al maschio".
Dal verbale subito redatto dal delegato di P.S. risulta che si trattava di una femmina del peso di Kg 75 della presunta età di anni sei. In data 3 ottobre 1887 il Prefetto comunicava che il Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio aveva disposto il pagamento di L. 98,80 ai fratelli Acquistapace per l'uccisione dell'orsa.
Il 17 aprile dell'anno successivo 1888 certo Lombella Pietro fu Giovanni, di anni 62, di Rasura, verso le ore 11, nel bosco chiamato "La Qual" sopra l'abitato di questo paese uccideva, con un rastrello di ferro, una giovane orsa, della specie comunemente chiamata "formigaroli", dell'età apparente di un anno e mezzo, in istato di estrema magrezza, tanto che pesava solo circa sette chili. L'orsacchiotto era stato venduto al macellaio Ciapponi Carlo di Morbegno il quale aveva solo potuto utilizzare la pelle perché di carne non ce ne'era affatto.
Tutto ciò risulta dal verbale che il delegato di P.S. di Morbegno spediva alla Prefettura di Sondrio dove il Lombella si era presentato il giorno dopo coll'orsacchiotto sulle spalle per poter riscuotere anche lui il premio.
Si può pensare che si trattasse del piccolo che accompagnava l'orsa uccisa dal dott. Gualteroni il quale, dopo aver girovagato tutto l'inverno nei boschi della valle, era finito sopra Rasura magro stecchito non essendo ancora in grado di procacciarsi cibo da solo.
E vengo all'ultimo orso della Val Gerola. Era la fine di settembre, od il principio di ottobre del 1888 (il giorno preciso non l'ho potuto stabilire):
Tre fratelli di Sacco, famosi ed arrabbiati cacciatori, della stirpe dei "Marasciai": Gambetta Paolo, Natale e Pasquale detto Militar, venuti a conoscenza che sull'Alpe Olano era stato visto un grosso orso, partivano subito per cacciarlo. Avvistata la belva sulla stessa Alpe Olano la inseguivano finché, vicino all'Alpe "Piazza", in località "Stabgina", riuscivano ad agganciarla. Il Gambetta "Militar" l'attendeva ad un passo obbligato e tentava di sparargli addosso da distanza ravvicinata. Il fucile gli faceva però cilecca e l'orso l'addentava ad una gamba. Sopraggiungeva il fratello Paolo il quale sparava alla belva a bruciapelo. Colpito, ma non mortalmente, l'orso mollava la gamba del "Militar" e si dava alla fuga. Medicata alla meglio la gamba, i tre fratelli inseguivano l'orso che riuscivano ad uccidere sopra Premana in Valsassina. La preda veniva trasportata a Bellano dove il "Militar" veniva ricoverato qualche giorno in quell'ospedale per curare la ferita infertagli dall'orso.
Naturalmente anche per questa uccisione i tre fratelli riscuotevano il premio dal Ministero dell'Agricoltura.
Un quadretto di "grazia ricevuta" veniva appeso dal "Militar" nella cappella della Madonna delle Grazie, nella chiesa di Sacco nel quale, con ingenua pittura, si vedeva un grosso orso addentare la gamba d'un uomo terrorizzato.
Il quadretto non è più in Chiesa perché fatto levare, insieme a tanti altri ex voto, dal Vescovo di Como in occasione di una sua visita pastorale in quella Parrocchia. Però non è stato distrutto, ma si trova in Gerola Alta nella casa di don Agostino Acquistapace.
E qui finisce, purtroppo, la storia degli orsi di Valgerola. Peccato che siano stati distrutti tutti! Se ve ne fossero ancora sarebbe stata festa per i cacciatori e fonte di infiniti e coloriti racconti alla sera nei nostri caffè.
Così anche nella nostra Valtellina di animali feroci non è rimasta che una sottospecie di uomini (pochi per la verità). Sono quelli che "in questa aiuola che ci fa tanto feroci" pieni di orgoglio e di sete di potere e di beni materiali, non hanno ancora sentito il richiamo degli angeli che cantavano venti secoli fa sulla capanna di Betlemme... "e pace in terra agli uomini di buona volontà"!
Per costoro, capaci di azzannare il proprio fratello anche se nel bisogno, non c'è che un'arma per cercare di cambiarli ed ammazzarli: un fucile non carico di pallottole, ma di ... amore!
Per gentile concessione Rinaldo Rapella