la Lavorazione del maiale

LA LAVORAZIONE DEL MAIALE

Un po' di storia

L'usanza di ''faa so'l ciun"cioe' trasformare il maiale in salumi e' molto antica a Gerola. Per certo sappiamo che gia' nel 1585 i Gerolesi andavano in giro per l'Italia come specialisti di questo lavoro: lo dicono gli atti del processo avvenuto a Morbegno proprio in quell'anno a carico di un Acquistapace, un Manni ed uno Spandrio che chiamati a Verona come norcini (per fare salumi), erano stati accusati di aver rubato della carne. Oggi possiamo ancora vedere nella casetta dell'Ufficio Informazioni a Gerola, un grosso ceppo con coltello che in passato veniva usato per tagliare la carne e un grosso imputo per insaccare.

Sicuramente l'arte di insaccare la carne e' nata con l'esigenza di conservare il piu' a lungo possibile i prodotti. Mentre i popoli del nord avevano imparato ad essiccare la carne, in Europa del Sud e' forte la tradizione degli insaccati . Ogni zona ha poi le proprie particolarita'; ad esempio il salume triangolare tipo cotechino chiamato Cappello del prete da noi non era usato . Il nostro "salam de testa" invece e' uguale alla famosa "Salama da sugo" menzionata nel 1400 da Lorenzo il Magnifico e Ercole d'Este dedico' alle delizie di questo prodotto un poemetto intitolato "Salameide"; anche Carducci parla della salama da sugo in alcune lettere alla Famiglia Finzi Contini. Non conosciamo invece salumi confezionati come il nostro "andücul'e quindi non sappiamo come puo' essere chiamato in italiano.

Procedimento

Il maiale veniva ingrassato bene con gli scarti della campagna d'autunno: patate, castagne, zucche, verze, romice (erba slavazza); alcuni non davano le castagne al maiale perche' la carne diventava dolciastra, altri che non avevano verdure davano il fieno sbriciolato che rimane in fondo al fienile (biech). Quando si macellava il maiale le famiglie vicine si aiutavano a turno. Qualche giorno prima si preparava tutto l'occorrente : si filava appositamente, la canapa grossa per legare salami e salsicce, si pestava il sale a mano (si diceva che quello fine non andava bene), si preparavano tutti gli arnesi e i contenitori.

Tutta la famiglia era impegnata: le donne si occupavano dei preparativi e per lo piu' stavano in cucina: tenevano sempre pronta acqua calda per rasare il maiale e lavare i recipienti, preparavano le spezie, lavavano le budella (gli intestini del maiale) , cuocevano il sangue , preparavano la trippa e bollivano per tutti le ossa del maiale e le frattaglie da mangiare con la polenta nei giorni di lavoro ai salumi. Gli uomini si dedicavano alla lavorazione vera e propria della carne e alla preparazione degli insaccati . I bambini facevano piccoli lavori o andavano a fare piccole commissioni ordinate dagli adulti;

Il rituale iniziale era uccidere il maiale; la maggior parte dava un colpo di mazza sulla testa e poi tagliava la gola; qualcuno appendeva il maiale vivo e poi lo dissanguava. Quest'ultima pratica scateno' l'ira di alcuni che sostenevano che "i lu cupava vif" tradotto significa "lo uccidevano vivo" cioe' cosciente.
Il sangue del maiale veniva raccolto in un recipiente e quando era coagulato lo si tagliava a quadri e si coceva in acqua bollente; dopo averlo scolato e tagliato a fettine era pronto per essere arrostito con burro, aglio e altre frattaglie.

Il maiale veniva "rasato": da una grande caldera si prelevavano secchi d'acqua bollente e si bagnava tutto il corpo bene poi con il bordo di un mestolo strisciato contro pelo si staccavano le setole; per rasare non si usavano coltelli per non tagliare la cotenna (codega). Se le setole non si staccavano si copriva il maiale con pezzi di tela prima di versarvi sopra l'acqua bollente.
Un lavoro che le donne dovevano fare con molta cura era il lavaggio delle budella che servivano per insaccare le salsicce e i salami. Se le budella non erano ben pulite i salumi non si conservavano, prendevano sgradevoli odori e talvolta erano immangiabili. Alla fontana si rovesciavano bene le budella e si facevano passare con cura fra due spatole di legno per staccare bene ogni residuo (anche di grasso) ; il lavoro continuava a casa dove le budella venivano lavate diverse volte con acqua calda aceto e sale.

Intanto che le donne facevano questo lavoro, gli uomini tagliavano e sceglievano la carne. Per i salami o "salam", che erano il salume piu' pregiato, veniva usata la carne migliore, tagliata a coltello finemente così come il lardo che non veniva tritato a macchina perche' si schiacciava. La bonta' dei salami era poi determinata dalla dose delle spezie e degli aromi. I migliori norcini concordavano 3 etti di sale ogni 10 chili di "pasta" (carne e lardo impastati), cannella, chiodi di garofano, noce moscata e pepe pestato in dosi variabili a seconda del gusto; l'aglio veniva pestato e poi filtrato in una garza con poca acqua calda; si metteva anche dello zucchero per conservare il colore della carne. Infine il tutto veniva impastato con del buon vino rosso nella "misa" che era una grande vasca di legno. L'impasto doveva essere ben miscelato avere una giusta consistenza. Dopo si procedeva ad insaccare i salami stando ben attenti a far uscire bene l'aria quando si chiudeva il budello altrimenti il salume irrancidiva. I salami venivano "imbragati" cioe' legati tutto intorno a rete con il filo di canapa. Qualcuno usava lasciar riposare i salumi almeno un paio d'ore prima di appenderli per evitare che la pasta cadesse troppo velocemente in fondo al budello.

Seguiva la preparazione delle salsicce o "lüganeghi" con la carne di seconda scelta tritata piu' finemente di quella dei salami. Per i cotechini o "cudeghin" si usavano le cotenne (codeghe) del maiale e la carne che non era andata bene per salami e salsicce. Chi intendeva fare la " murtadela de fidech" teneva da parte del sottofiletto che veniva impastato con il fegato del maiale (1 chilo di carne ogni 3 etti di fegato). Il "salam de testa" era un'altra prelibatezza e veniva preparato con il guanciale tritato grosso insieme a lardo e carne il tutto insaccato nella vescica del maiale . Come possiamo intuire di salame di testa se ne poteva fare solo uno ed era riservato a feste o ritrovi di famiglia. Un'altra cosa era l' "andücul" : si apriva a tasca il guanciale e si riempiva di pasta di salame per mangiarlo crudo oppure pasta di salsicce per mangiarlo cotto; l'"andücul " aveva una particolare forma di rosa.

Si poteva preparare la pancetta o "panzeta" utilizzando il lardo della pancia che e' anche venato di carne: salato ed aromatizzato, dopo qualche giorno veniva arrotolato e legato con filo di canapa. Il lardo (grasso che sta sotto la cotenna) o "aart" avanzato veniva bollito a lungo e diventava lo strutto in dialetto "büteer coch" ; lo strutto si conservava in recipienti di terracotta chiamate "ule" e si conservava al fresco per tutto l'inverno; lo strutto al contrario del burro si conservava a lungo senza diventare rancido. Dopo la bollitura del lardo rimanevano nella pentola dei filamenti biancastri di grasso che non si era sciolto: i "grassei" in italiano si chiamano ciccioli. Con questo residuo di grasso tritato finemente si faceva il "pan de grassei" : un gustoso pane condito al quale si aggiungevano noci e fichi secchi e diventava una specie di bisciola.

Rimanevano ancora delle parti del maiale non utilizzate per i salumi che pero' non venivano buttate. La "sungia" in italiano sugna ovvero il grasso che sta intorno agli intestini del maiale, veniva sciolto e messo in piccoli vasi serviva per ungere gli scarponi e il cuoio per renderlo impermeabile.
Lo stomaco e i polmoni o "curada" del maiale venivano cucinati come trippa o "buseca". I piedi del maiale (e le orecchie) cucinati con le verze davano la "cazzola" molto usata anche nel milanese. Le ossa e la lingua venivano bollite e mangiate con la polenta. Il cuore, i reni e le animelle (i genitali) venivano fatti in umido con cipolla. Il cervello veniva cucinato a parte ed era una prelibatezza riservata a bambini ed ammalati per l'alto potere nutritivo gia' conosciuto.
Le setole venivano usate per fare pennelli e praticamente del povero maiale si buttavano solo le unghie . E' interessante notare come in ogni passaggio della lavorazione si includevano tutti gli scarti della lavorazione precedente e quindi non andava perso niente.

a cura di Cirillo Ruffoni e gli anziani di Gerola 

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